Tu cammini, ti muovi giocoso. Quella curiosità dei corpi che sconvolge e fa muovere i nostri occhi, lucidi e eccitati. Lascia che i maligni rimuginino le loro parole, che ci mandino anatemi. I loro discorsi vivono del nulla di uomini rattrappiti, appassiti sotto il macigno del mondo. Le mie mani intanto sfiorano il tuo petto, ne accarezzano le curvature, le sporgenze delicate. Continuiamo a rincorrerci, nello spazio limitato di questa stanza, a modulare le nostre distanze, le nostre vicinanze. Le paure, i blocchi, che a volte attanagliano la mia immaginazione, che a volte scandagliano le mie emozioni, non sono che un'affermazione ancora più intensa del desiderio di te. Nessun inquisitore, esteriore o interiore, può negare quel che siamo, quel che diveniamo ogni volta, ogni minuto, ogni secondo, ogni attimo in cui respiri e mi baci e mi sfiori. Non si dà modo della Sostanza, della materia e del suo movimento, che non sia eterno nel suo divenire.
Nel vortice
In cui ti sei buttato
Vorrei gettarmi
Vorrei andare in fondo
E mentre cado
Contare i secondi
I minuti.
Cadendo
Senza più paura
Nè speranza
Nè angoscia
Ammantarmi nel buio
Dissolvermi.
Una carezza, una carezza è quel che mi basta. Ti tocco e sento la tua forza, fluisce in me, annulla i miei confini. I tuoi occhi brillano, si lasciano andare alle carezze e ai baci, alle movenze sinuose del mio corpo. Il desiderio è sempre apertura alla totalità/molteplicità che stringiamo. Noi siamo i complici della fuga dalle nostre maschere, dalle categorie di questa società. Lentamente ti togli i vestiti. Mi apro al tuo petto,che vibra di piacere mentre lo attraverso. L'energia prorompe, è difficile contenerla, è difficile arginarla, straripa. Tu mi sfiori con affetto i capelli mentre scendo a leccare il tuo fiore, onorandolo. La lingua si muove, io ti stringo e mi preparo a accettare la tua potenza. La tua pelle diventa più sensibile, flessuosa, si muove e accompagna la mia bocca in un movimento circolare. Alla fine vieni, ed è bellissimo sentire il tuo essere eruttare, lo bevo con gioia, perché sei parte del mio essere. Ci alziamo e cominciamo a baciarci con ogni muscolo, ogni respiro, ogni fremito che ci rimane, finchè il nostro corpo ne ha voglia. Erotizzare l'interezza dei rapporti umana sarà il compito della rivoluzione che viene.
- Cosa succederebbe se le mie pulsioni, i desideri dovessero debordare senza più un soggetto, e espandersi ogni dove? Dove saresti Io, carceriere interiore che rifletti la faccia di mio Padre?
Nel parco di Villa Chigi non c'era più nessuno. Lui se ne stava sdraiato, seminudo, e il vento tagliente di una sera di novembre lo tagliava da parte a parte. Qualche profilo si muoveva sui viali adiacenti.
- Fuggi corpo da questo involucro. Fuggi, dilaga, diventa molteplicità, diventa albero, diventa erba, diventa lampione nella notte, diventa occhio sfuggente. Fuggi dall'Io!
Cominciò a rotolare giù dal pendio. Il suo petto si bagnava nella rugiada, le gambe aggrovigliate, i pantaloni sdruciti e infangati. Arrivato alla fine del declivio si alzò e cominciò a correre:
- Si, fuggo, fuggo, fuggo via, via da qua!
"Giù, dove il suono ha l'eco del ventre della terra/ giù profondamente,
dove la collera cresce/ violentemente"
Un chiacchericcio lontano, una ciarla senza senso, le finestre illuminate dei condomini, i piedi i piedi in moto moto elettrico blu sfavillante luminoso fresco di una freschezza nuova su la solitaria verdura con un crepitio che dura e varia nell'aria secondo le fronde degli alberi scheletrici sagomati semoventi nell'ombra e i piedi corrono intersecando traiettorie segmenti intarsiati brucia di vita quell'istante l'istantanea nel blu ctonio, fino a che si fermò. Lui ombra e la città luce lontana, prosopopea del mondo e dei suoi cheminements.
- A piazza annibaliano hanno le birre migliori della zona, ci andiamo?
- Si, meglio che marcire in casa.
Lo spiazzo era popolato da esseri sbiancati e anonimi, qualche giovane annoiato del quartiere Trieste, macchinette, gradassi e fascisti. Lui si prese una birra danese, e l'altro preferì dei pop corn.
Seduti sui gradini dello spiazzo a guardare le macchine passare e sfogliare il tempo, contare i secondi in cui sarebbero rimasti in quel mare di cemento scolorito a contare i secondi. Contorcersi per sfuggire al loro mondo.
Ho sognato che recidevano parti del mio corpo. Eppure non vedevo nulla della lacerazione, sentivo solo la sensazione di essere caduto nell'abisso, nell'oscurità di un dolore lancinante. Gli occhi spalancati, la sensazione di aver perduto tutto, di non sentire più il mio corpo vibrare. Il corpo che si scomponeva, e io che cercavo invano di riconnettere le parti recise, di sentirmi ancora vivo. Sveglio mi guardo intorno: cosa è successo? Le pareti della stanza, asettiche, mi guardano, cadono su di me, si frantumano, muovono i loro passi nella luce bianca dell'alba. La lacerazione ancora aperta disegna il suo abisso orrendo. L'abisso della manque, dell'amato che non c'è. L'amato lontano, il suo corpo e i suoi baci lontani da me, e io che li cerco, li inseguo. A volte l'alienazione e il distacco dal gemeinwesen umano, da quella gioiosa comunità dei corpi e dei modi di essere, grava come un macigno sul mondo dei viventi, di chi si rifiuta di accettare il simulacro di vita mortifero di questo mondo. La manque ci scava dentro, ci impedisce di vivere e godere. Ci forma in quanto simulacri. Ti guardi allo specchio, come il bambino di Lacan, e scopri che lo specchio riflette te stesso, cadi nel baratro del mondo, perdi la poesia di una vita ancora non infranta, ancora intatta, ancora pulsante. Le facce di chi ti scruta come in una bolla di vetro, le facce degli adulti, il loro ghigno triste, le loro mani. Vogliono torcere il tuo corpo e strapparlo da te, vogliono torcere il tuo desiderio e stornarlo. Che strana sensazione. Vorrei eruttare, vorrei colare come lava, così vorrei singhiozzare io! Così vorrei eruttare, baciare, scopare. Amare con tutto il conatus del mio corpo, di quello degli altri, di quello di tutte le persone che ho conosciuto, usare il corpo per distruggere i simulacri del mondo.
-Ci sei? Svegliati! Hai una giornata da impiegare. Non sprecare il tempo!
Sono caduto ancora una volta.
Ombre si dispiegano sul far della sera, in un
sentiero di montagna. Fa più caldo del solito, eppure si respira ancora l’odore
pungente della brezza serale.Le curve
delle alture non ancora ricoperte di neve si colorano di un rosso dorato,
scintillante nel chiaroscuro. I passi affrettati di chi scappa sommessamente
calpestano i ciottoli. Dalla sommità dell’altura si vede l’ampiezza della conca
del lago. La conca svuotata è ricoperta di fango e pozze d’acqua.
Ascolto
la Radio/ sintonizzata sul nulla
Quando sei solo diventi più propenso a
osservare i particolari, le piccole cose. Le pieghe di una foglia, i ciottoli
levigati. Il declivio scosceso, gli alberi dondolanti nella brezza. Conti i
minuti che ti rimangono di quegli attimi, prima di ritornare nell’alveo della
vita quotidiana. Per quanto tempo dovremo ancora rincorrerci, per raccontarci ancora
bugie?La luce si dissolve e gli alberi
si trasformano in macchie nere protese verso la volta del cielo. Devo andare.