venerdì 22 novembre 2013

Sogno

Ho sognato che recidevano parti del mio corpo. Eppure non vedevo nulla della lacerazione, sentivo solo la sensazione di essere caduto nell'abisso, nell'oscurità di un dolore lancinante. Gli occhi spalancati, la sensazione di aver perduto tutto, di non sentire più il mio corpo vibrare. Il corpo che si scomponeva, e io che cercavo invano di riconnettere le parti recise, di sentirmi ancora vivo. Sveglio mi guardo intorno: cosa è successo? Le pareti della stanza, asettiche, mi guardano, cadono su di me, si frantumano, muovono i loro passi nella luce bianca dell'alba. La lacerazione ancora aperta disegna il suo abisso orrendo. L'abisso della manque, dell'amato che non c'è. L'amato lontano, il suo corpo e i suoi baci lontani da me, e io che li cerco, li inseguo. A volte l'alienazione e il distacco dal gemeinwesen umano, da quella gioiosa comunità dei corpi e dei modi di essere, grava come un macigno sul mondo dei viventi, di chi si rifiuta di accettare il simulacro di vita mortifero di questo mondo. La manque ci scava dentro, ci impedisce di vivere e godere. Ci forma in quanto simulacri. Ti guardi allo specchio, come il bambino di Lacan, e scopri che lo specchio riflette te stesso, cadi nel baratro del mondo, perdi la poesia di una vita ancora non infranta, ancora intatta, ancora pulsante. Le facce di chi ti scruta come in una bolla di vetro, le facce degli adulti, il loro ghigno triste, le loro mani. Vogliono torcere il tuo corpo e strapparlo da te, vogliono torcere il tuo desiderio e stornarlo. Che strana sensazione. Vorrei eruttare, vorrei colare come lava, così vorrei singhiozzare io! Così vorrei eruttare, baciare, scopare. Amare con tutto il conatus del mio corpo, di quello degli altri, di quello di tutte le persone che ho conosciuto, usare il corpo per distruggere i simulacri del mondo.
-Ci sei? Svegliati! Hai una giornata da impiegare. Non sprecare il tempo!
Sono caduto ancora una volta.


                                     Noi siamo il tempo

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