sabato 7 dicembre 2013

Il Canneto


"Ascolta il ney , com'esso narra la sua storia, com'esso triste lamenta 

la separazione: Da quando mi strapparono dal canneto,ha fatto piangere uomini e 

donne il mio dolce suono! Un cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco 

dall'Amico, che possa spiegargli la passione del desiderio d'Amore; Perché chiunque 

rimanga lungi dall'Origine sua, sempre ricerca il tempo in cui vi era unito (...) 

Fuoco è questo grido del ney, non vento; e chi non l'ha, questo fuoco, ben merita 

di dissolversi in nulla!" Rumi, Masnavi


Il letto è sdrucito e sfatto. La stanza, una scatola metaforica, disegna ombre intorno, mentre sprazzi di luce filtrano dalla finestra. Sono sdraiato supino sulle coperte, a rimirare un paesaggio immaginario, ricamato da qualche particolare sulle pareti. Ton Pathei Mathos. Il volto scavato dall'acqua leggiadra delle lacrime. Non proferir parola. Quanto possono far male le parole, questi tristi segni con cui costruiamo le nostre meschine prosopopee. Non parlerò. Qualcosa era scomparso, qualcosa. Dove non si può più amare, bisogna passare oltre.








giovedì 5 dicembre 2013

A Qualcuno

Una parola
vuota.
Nessun perdono
nessuno
per quel che ho fatto
per come sono fatto.
E queste
poche parole
sono vuote
come vuota è la mia vita
uno strappo nel cielo di carta
e a nulla vale
ripensarci
nulla vale
se non a consumarsi.
Desideravo
sapere qualcosa
ma evidentemente
è inutile
e l'amore reificato
l'amore del bisogno
infantile
striscia su di me
come un serpente
ci separa
come due magneti
come oggetti centrifugati
corrode le mie membra.
Rispettare le distanze
quando si spostano i corpi
e tu ti allontani
e vai via.

mercoledì 4 dicembre 2013

Quartina

"Gli amici che abbiamo amato, i più fedeli e leali,
ci hanno lasciato uno dopo l'altro;
con loro bevemmo due o tre coppe alla mensa del mondo,
prima che, uno alla volta, andassero silenziosamente a dormire." Omar Khayyam







venerdì 29 novembre 2013

Panopticon

Come ti vogliamo
modellare.
Come ti pensiamo
perché no, tu non ti spieghi
e no,
rimani chiuso nella tua cella
sii coscienzioso
flagellati
punisciti
e non pensare
non lasciare la mente 
affollata di spettri
ma noi ti conosciamo
e tu lo sai
tu lo sai
che ti vogliamo bene
anche se lo diciamo noi
perché noi
sappiamo tutto di te.
Si chiude la porta
della mia prigione
un rumore scomposto
una cacofonia 
fiumi di parole
psichiatria genitoriale rieducativa
non devi temere
ti mandiamo dallo psichiatra.
il mostro
steso sul letto
ingovernabile
incomprensibile.
E intanto 
la porta chiusa
della mia prigione
ermetica
silenziosa.
Sfoglio petali appassiti
di un'adolescenza perduta.














mercoledì 27 novembre 2013

#9

Tu cammini, ti muovi giocoso. Quella curiosità dei corpi che sconvolge e fa muovere i nostri occhi, lucidi e eccitati. Lascia che i maligni rimuginino le loro parole, che ci mandino anatemi. I loro discorsi vivono del nulla di uomini rattrappiti, appassiti sotto il macigno del mondo. Le mie mani intanto sfiorano il tuo petto, ne accarezzano le curvature, le sporgenze delicate. Continuiamo a rincorrerci, nello spazio limitato di questa stanza, a modulare le nostre distanze, le nostre vicinanze. Le paure, i blocchi, che a volte attanagliano la mia immaginazione, che a volte scandagliano le mie emozioni,  non sono che un'affermazione ancora più intensa del desiderio di te. Nessun inquisitore, esteriore o interiore, può negare quel che siamo, quel che diveniamo ogni volta, ogni minuto, ogni secondo, ogni attimo in cui respiri e mi baci e mi sfiori. Non si dà modo della Sostanza, della materia e del suo movimento, che non sia eterno nel suo divenire.





Caduta

Nel vortice
In cui ti sei buttato
Vorrei gettarmi
Vorrei andare in fondo
E mentre cado
Contare i secondi
I minuti.
Cadendo
Senza più paura
Nè speranza
Nè angoscia
Ammantarmi nel buio
Dissolvermi.





martedì 26 novembre 2013

A Carmine


Lo so
Che il linguaggio nasconde i nostri gesti
E fino ad un punto non può andare.
Così
Prenderò un mucchio di parole
E pescherò a caso nel mucchio
Finché non ne troverò di adatte.
A volte
L’amicizia ti trascina
Con una forza spaventosa
E senti di avere scampato il mondo
Di non essere più solo
In un bacio
In un’espressione che coglie
La nostra complicità
La nostra continuità.
Carmine
Ma potresti indossare qualunque nome
Se queste parole fossero sufficienti
Io non le starei scrivendo.
Amare è un’apertura immensa
E non ho paura
Di sprofondare



lunedì 25 novembre 2013

All'amato, qualunque amato


Una carezza, una carezza è quel che mi basta. Ti tocco e sento la tua forza, fluisce in me, annulla i miei confini. I tuoi occhi brillano, si lasciano andare alle carezze e ai baci, alle movenze sinuose del mio corpo. Il desiderio è sempre apertura alla totalità/molteplicità che stringiamo. Noi siamo i complici della fuga dalle nostre maschere, dalle categorie di questa società. Lentamente ti togli i vestiti. Mi apro al tuo petto,che vibra di piacere mentre lo attraverso. L'energia prorompe, è difficile contenerla, è difficile arginarla, straripa. Tu mi sfiori con affetto i capelli mentre scendo a leccare il tuo fiore, onorandolo. La lingua si muove, io ti stringo e mi preparo a accettare la tua potenza. La tua pelle diventa più sensibile, flessuosa, si muove e accompagna la mia bocca in un movimento circolare. Alla fine vieni, ed è bellissimo sentire il tuo essere eruttare, lo bevo con gioia, perché sei parte del mio essere. Ci alziamo e cominciamo a baciarci con ogni muscolo, ogni respiro, ogni fremito che ci rimane, finchè il nostro corpo ne ha voglia. Erotizzare l'interezza dei rapporti umana sarà il compito della rivoluzione che viene.



#5


- Cosa succederebbe se le mie pulsioni, i desideri dovessero debordare senza più un soggetto, e espandersi ogni dove? Dove saresti Io, carceriere interiore che rifletti la faccia di mio Padre?
Nel parco di Villa Chigi non c'era più nessuno. Lui se ne stava sdraiato, seminudo, e il vento tagliente di una sera di novembre lo tagliava da parte a parte. Qualche profilo si muoveva sui viali adiacenti. 
- Fuggi corpo da questo involucro. Fuggi, dilaga, diventa molteplicità, diventa albero, diventa erba, diventa lampione nella notte, diventa occhio sfuggente. Fuggi dall'Io!
Cominciò a rotolare giù dal pendio. Il suo petto si bagnava nella rugiada, le gambe aggrovigliate, i pantaloni sdruciti e infangati. Arrivato alla fine del declivio si alzò e cominciò a correre:
- Si, fuggo, fuggo, fuggo via, via da qua! 
 
 "Giù, dove il suono ha l'eco del ventre della terra/ giù profondamente, 
dove la collera cresce/ violentemente"

Un chiacchericcio lontano, una ciarla senza senso, le finestre illuminate dei condomini, i piedi i piedi in moto moto elettrico blu sfavillante luminoso fresco di una freschezza nuova su la solitaria verdura con un crepitio che dura e varia nell'aria secondo le fronde degli alberi scheletrici sagomati semoventi nell'ombra e i piedi corrono intersecando traiettorie segmenti intarsiati brucia di vita quell'istante l'istantanea nel blu ctonio, fino a che si fermò. Lui ombra e la città luce lontana, prosopopea del mondo e dei suoi cheminements

- A piazza annibaliano hanno le birre migliori della zona, ci andiamo?
- Si, meglio che marcire in casa.
Lo spiazzo era popolato da esseri sbiancati e anonimi, qualche giovane annoiato del quartiere Trieste, macchinette, gradassi e fascisti. Lui si prese una birra danese, e l'altro preferì dei pop corn.
Seduti sui gradini dello spiazzo a guardare le macchine passare e sfogliare il tempo, contare i secondi in cui sarebbero rimasti in quel mare di cemento scolorito a contare i secondi. Contorcersi per sfuggire al loro mondo.


                                        Il giorno dell'ascesa


  

venerdì 22 novembre 2013

Sogno

Ho sognato che recidevano parti del mio corpo. Eppure non vedevo nulla della lacerazione, sentivo solo la sensazione di essere caduto nell'abisso, nell'oscurità di un dolore lancinante. Gli occhi spalancati, la sensazione di aver perduto tutto, di non sentire più il mio corpo vibrare. Il corpo che si scomponeva, e io che cercavo invano di riconnettere le parti recise, di sentirmi ancora vivo. Sveglio mi guardo intorno: cosa è successo? Le pareti della stanza, asettiche, mi guardano, cadono su di me, si frantumano, muovono i loro passi nella luce bianca dell'alba. La lacerazione ancora aperta disegna il suo abisso orrendo. L'abisso della manque, dell'amato che non c'è. L'amato lontano, il suo corpo e i suoi baci lontani da me, e io che li cerco, li inseguo. A volte l'alienazione e il distacco dal gemeinwesen umano, da quella gioiosa comunità dei corpi e dei modi di essere, grava come un macigno sul mondo dei viventi, di chi si rifiuta di accettare il simulacro di vita mortifero di questo mondo. La manque ci scava dentro, ci impedisce di vivere e godere. Ci forma in quanto simulacri. Ti guardi allo specchio, come il bambino di Lacan, e scopri che lo specchio riflette te stesso, cadi nel baratro del mondo, perdi la poesia di una vita ancora non infranta, ancora intatta, ancora pulsante. Le facce di chi ti scruta come in una bolla di vetro, le facce degli adulti, il loro ghigno triste, le loro mani. Vogliono torcere il tuo corpo e strapparlo da te, vogliono torcere il tuo desiderio e stornarlo. Che strana sensazione. Vorrei eruttare, vorrei colare come lava, così vorrei singhiozzare io! Così vorrei eruttare, baciare, scopare. Amare con tutto il conatus del mio corpo, di quello degli altri, di quello di tutte le persone che ho conosciuto, usare il corpo per distruggere i simulacri del mondo.
-Ci sei? Svegliati! Hai una giornata da impiegare. Non sprecare il tempo!
Sono caduto ancora una volta.


                                     Noi siamo il tempo

mercoledì 6 novembre 2013

#3



Ombre si dispiegano sul far della sera, in un sentiero di montagna. Fa più caldo del solito, eppure si respira ancora l’odore pungente della brezza serale.  Le curve delle alture non ancora ricoperte di neve si colorano di un rosso dorato, scintillante nel chiaroscuro. I passi affrettati di chi scappa sommessamente calpestano i ciottoli. Dalla sommità dell’altura si vede l’ampiezza della conca del lago. La conca svuotata è ricoperta di fango e pozze d’acqua.

Ascolto la Radio/ sintonizzata sul nulla

Quando sei solo diventi più propenso a osservare i particolari, le piccole cose. Le pieghe di una foglia, i ciottoli levigati. Il declivio scosceso, gli alberi dondolanti nella brezza. Conti i minuti che ti rimangono di quegli attimi, prima di ritornare nell’alveo della vita quotidiana. Per quanto tempo dovremo ancora rincorrerci, per raccontarci ancora bugie?  La luce si dissolve e gli alberi si trasformano in macchie nere protese verso la volta del cielo. Devo andare.






                                                        
 
 

lunedì 28 ottobre 2013

#2


Addentrarsi nei meandri di Roma è come penetrare nel cuore di una bestia sventrata, attraversare i cunicoli delle sue vene, delle sue arterie, ancora umide del sangue rappreso, fetide del disfacimento della carne. Roma è il senso di rovina stanca che promanano i suoi marciapiedi, la consapevolezza che nulla più c'è da sperare nei meandri di una bestia troppo bella per essere morta. Questi i pensieri di un diciannovenne che camminava all'altezza di Largo Preneste. Passa un tram. Gli occhi sgranati sulle luci color arancia, sfuma il profilo delle insegne dei bar. Le parole si aggrovigliano nella penombra in attesa di spuntare, speroni rocciosi conficcati nel cemento e nell'asfalto. A volte le parole si insinuano quando il linguaggio manca a se stesso. Un attimo e appaiono i contorni dei palazzi colorarsi di sfumature diverse.
- Nella nave dei folli remiamo verso lidi immaginari.
I folli si vedono nei rifugi della notte. I folli immaginano che questo oceano di cemento possa deformarsi e cambiare forma, i folli escono furtivi alla ricerca di qualcosa, di qualcuno, un'indefinita entità multiforme che modula gli spazi e si insinua nelle strade, scappando dalla ferocia del centro cittadino.
Nulla più da fare in questa città niente di niente più niente.

And no bird sings.

Nel vuoto vaga, si possono vedere i suoi piedi correre, i suoi piedi le sue mani i suoi occhi frastagliati luminosi come lampioni uno sguardo un'espressione subitanea a riempire il vuoto a colorarlo di smeraldo rubino macchie si posano sui muri dell'Ex-Snia illuminano i graffiti che camminano dilagano si sparpagliano e no forse è un attimo un immaginazione un'epifania essere trascinati e vedere le catene del proprio carceriere interiore dissolversi vieni da solo vieni da me elettricità colore calore espressione vieni vieni a frangerti sul guardrail il mondo è solo uno spettro lontano e ci guarda come una caverna di occhi deformi che colano grigio liquido sul nostro viso vieni dove vai dove vai dove vai dove che cosa succede...

Sono saturo di voci e povero di idee

Su porta maggiore si alza uno spiraglio di sole, alle 6. Un uomo seduto su una panchina fissa il vuoto, vomita pensieri all'alba. Today we escape. Troppo forte l'immaginazione per non rimanere impressa sulle strade, in attesa di essere sguinzagilata, un'altra volta. Un'altra volta.

Come in Alone


venerdì 4 ottobre 2013

#1

"Allora" mi chiese lui "come pensi che andrà la serata?"
"Vediamo. C'è già un po' di gente."
Il bicchiere di birra che tenevo in mano esalava vapori. La brezza di una giornata autunnale mi solca il volto. Faccio per incamminarmi verso il palco.
Gruppi di persone parlottavano confusamente, accumulando suoni gutturali negli spiazzi. Lui si mise a leggere i flyers.
"Questo mondo è come un limbo. Guardati intorno, siamo tutti sospesi, come l'angelo di Klee" 
"Ho sempre provato questa sensazione."
La città era lontana come non mai, in quel pezzo di universo. Solo le luci dei palazzi, dietro di noi, ce ne ricordavano il peso. Io camminavo con lui, ritagliando accuratamente lo spazio di fantasticherie che si potevano leggere nei graffiti alle pareti.

                                    Il mio cuore può assumere tutte le forme.

Viaggiare nella metropoli è esplorare i propri desideri inespressi. I palazzi e i lampioni, appostati nell'ombra come gufi, ti scrutano nella tua odissea. La luna brillava sopra il profilo degli alberi, piegati e ricurvi. Vivo in una strada dove l'aria non è buona. Quindi migro. Altri approdi, altre mete possibili. Le riflessioni annegavano nel colore paglierino della birra. L'attrazione erotica per l'universo circostante, e il corpo di lui. 
"Idolo, i tuoi occhi si perdono nel mare di questa notte".
"Posso vederli attraversare questi spazi"
Avevano già cominciato a suonare. Un mucchio di gente pogava. Il punk hardcore non lo ascoltava molto, al di fuori di certi gruppi degli anni '80. Percepiva l'energia cinetica delle colluttazioni. Nasi, bocche, colli, braccia. Prese l'iniziativa e si gettò nella mischia.
                                          
                                                Sail to me, let me enfold you.